Ecatombe aziendale in Italia: 12.000 fallimenti e 90.000 liquidazioni, è triste record in negativo

Ecatombe aziendale in Italia: 12.000 fallimenti e 90.000 liquidazioni, è triste record in negativo

CHIUSO

di MARIETTO CERNEAZ

Sarà, ma la luce in fondo al tunnel ci pare fioca, quando non inesistente. E’ stato ancora un ‘anno nero’ quello appena concluso per le aziende italiane: 12.000 fallimenti, 2.000 procedure non fallimentari e 90.000 liquidazioni: oltre 104 mila imprese sono entrate in crisi o hanno dovuto chiudere i battenti, un valore che supera quello già molto elevato del 2011 (+2,2%). Questi i dati forniti oggi da Cerved Group che evidenzia un boom delle nuove forme di concordato preventivo, introdotte dalla riforma entrata in vigore a settembre: si stima che nel solo quarto trimestre dell’anno siano state presentate circa 1.000 domande, soprattutto nella forma del concordato con riserva. “Il picco toccato dai fallimenti nel 2012 – commenta Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato della società – supera del 64% il valore registrato nel 2008, l’ultimo anno pre – crisi. Sono stati superati anche i livelli pre-2007, quando i tribunali potevano dichiarare un fallimento anche per aziende di dimensioni microscopiche”.

I dati di Cerved Group mostrano che nel 2012 la recessione ha avuto un impatto notevole nel comparto dei servizi (+3,1%) e nelle costruzioni (+2,7%), mentre la manifattura – pur con un numero di fallimenti che rimane a livelli critici – ha registrato un calo rispetto all’anno precedente (- 6,3%). Dal punto di vista territoriale, le procedure sono aumentate nel Nord Ovest (+6,6%) e nel Centro (+4,7%), mentre sono rimaste ai livelli dell’anno precedente nel Sud e nelle Isole. Nel Nord Est i casi sono invece diminuiti, un dato compensato dal forte incremento delle liquidazioni, che ha portato il totale di chiusure in quell’area a superare quota 20 mila (+8,6% sul 2011).

Il fenomeno delle liquidazioni volontarie ha riguardato tutta l’economia: se si considerano le ‘vere’ (non contando le cosiddette scatole vuote) societa’ di capitale, si registrano aumenti con tassi a due cifre nel terziario (14%), nelle costruzioni (13,8%) e nell’industria (13,1%). Dal punto di vista geografico, il fenomeno segue una corsa a due velocita’: un boom nel Nord (+31,2% nel Nord Est e +25,1% nel Nord Ovest) e una crescita più moderata nel Centro-Sud (+9,5%).

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Dall’inizio della crisi nel 2009 si contano infatti più di 45 mila fallimenti. Il numero maggiore ha riguardato imprese del terziario, 21 mila, ma i dati indicano che è stata l’industria a pagare il conto più salato alla recessione: il totale delle società di capitale manifatturiere fallite tra 2009 e 2012 ammonta infatti al 5,2% di quelle che avevano depositato un bilancio valido all’inizio del periodo considerato, contro una percentuale pari al 4,6% nelle costruzioni e al 2,2% nei servizi.

”L’incidenza dei default osservati durante la crisi -conclude De Bernardis- risulta particolarmente alta in settori tipici del Made in Italy come il sistema casa (7,9%), il sistema moda (7,1%), la produzione di beni intermedi (5,5%), la meccanica (5,1%), mentre da un punto di vista territoriale la crisi è stata avvertita maggiormente tra le imprese del Nord della Penisola (3,5% nel Nord Ovest e 3,2% nel Nord Est), rispetto al Centro-Sud (2,7%)”. E c’è ancora chi crede alle promesse politiche…

Fonte: http://www.lindipendenza.com/

 

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